Le isole Fær Øer sono un arcipelago nel cuore dell’Atlantico, con una popolazione di circa 50 mila abitanti e un’estensione pari a poco meno di 1400 km quadrati. Stiamo parlando di un’entità equiparabile a un comune dell’hinterland milanese per densità di popolazione, ma le Fær Øer, oltre a essere uno stato pressoché indipendente (sono un protettorato della Danimarca), hanno una caratteristica che le rende estremamente affascinanti dal punto di vista linguistico e sociolinguistico. Il feroese è infatti la lingua ufficiale dell’arcipelago, strenuamente difesa dai suoi (pochi) parlanti e da una serie di politiche linguistiche che il governo delle isole mette in atto per preservare l’idioma autoctono della nazione.
Sotto il punto di vista linguistico, il feroese è una lingua scandinava insulare, assieme all’islandese, e come quest’ultima lingua, ha caratteristiche che si distanziano dalle altre lingue scandinave (svedese, danese e norvegese), cioè l’uso dei casi grammaticali, come il latino.
Per molti secoli il feroese è rimasto una lingua orale, con attestazioni scritte praticamente nulle. Nel 1536 le isole furono annesse alla Danimarca e il danese divenne lingua ufficiale dell’arcipelago. Il volgo tuttavia continuava a parlare il feroese nei contesti quotidiani, mentre i governo danese non permetteva l’uso del ”barbaro dialetto’ nemmeno per le funzione religiose.
La lingua feroese era tuttavia molto distante dal danese, essendo più vicina all’islandese, quindi non si poteva proprio parlare di dialetto vero e proprio.
La predominanza linguistica del danese continuò fino all’Ottocento, quando i primi linguisti danesi e feroesi iniziarono a interessarsi della questione, trascrivendo canzoni popolari (le Kvæði), traducendo i testi sacri e creando nel 1845 circa, la prima grammatica di lingua feroese.
La norma finalmente fissata per l’ortografia permise di registrare il materiale orale per i posteri, senza però cambiare sostanzialmente la situazione di bilinguismo nelle Fær Øer e dando il via a un periodo di interesse e cura della lingua particolarmente proficuo. Inoltre, negli anni compresi tra il 1880 e il 1960, nacquero i primi partiti politici feroesi e la questione identitaria divenne di primaria importanza. La lingua era ora considerata uno dei principali simboli dell’identità feroese e i movimenti nazionalistici ne promossero l’uso della stessa in tutti i campi.
A oggi il feroese è riconosciuto come lingua ufficiale delle isole e il danese non viene usato a livello burocratico, religioso o per scopi legislativi e di governo. Tuttavia, dati i secoli di contatto il feroese ha subito un forte influsso dal danese, principalmente a livello lessicale. A oggi gli abitanti dell’arcipelago possono usare la loro lingua in quasi ogni campo, tuttavia sono praticamente tutti bilingui: imparano il danese fin da piccoli a scuola, facilitando gli studi accademici.
Con un numero così esiguo di parlanti e in un mondo globalizzato, risulta quasi impossibile pensare che il feroese possa essere l’unica lingua parlata nelle isole. [1] Il bilinguismo nelle Fær Øer è una necessità poiché quasi ogni impulso culturale è mediato da una lingua diversa da quella feroese. Per un numero così ristretto di parlanti sono infatti impensabili, a livello economico, traduzioni di fumetti, film o persino manuali di istruzioni. Il danese è estremamente radicato nella vita quotidiana dei feroesi: i bambini devono ricorrere al danese se vogliono vedere determinati cartoni animati o la massaia dovrà abituarsi a usare i libretti di istruzioni, per esempio della lavatrice, in danese. In quasi tutte le case, il feroese è la lingua usata oralmente e in tutte le situazioni, mentre il danese è confinato a letture specifiche, a programmi tv e a film. L’attitudine verso il danese è in generale positiva e razionale. La politica linguistica feroese non si è mai battuta per la totale eliminazione del danese dalle isole, poiché ciò sarebbe controproducente.
Oggi ci sono molti artisti interessati alla ‘promozione’ della lingua e della cultura feroese. La scena musicale feroese è molto ricca e affonda le radici nella propria tradizione. La musica può rinforzare l’identità feroese, ancora legata ai vecchi kvæði e dansring. Mediante una commistione di introspezione e reinterpretazione, i musicisti feroesi riescono a unire la propria cultura e tradizione a un suoni moderni. Artisti come la cantante Eivør Pálsdóttir o la band metal Týr hanno raggiunto una buona fama, facendo conoscere la lingua e la cultura feroese anche al di fuori del panorama scandinavo. Sono probabilmente i Týr gli ‘ambasciatori’ più noti a livello musicale: a loro va il merito di aver ridato vita a molti kvæði e canti popolari, arrangiati in chiave moderna, tra cui Ormurin Langi (Il lungo serpente), Regin Smiður (Regin il Fabbro) e Ólavur Riddararós. (Olav Cavaliere delle Rose).[1] Grazie ai crescenti consensi la band riesce a far avvicinare numerosi fans alla lingua e alla cultura feroese, aumentando l’interesse per questa piccola nazione. Notevole anche il lavoro del giovane regista Heiðrik á Heygum che con i suoi cortometraggi, come Sigarett, (Sigaretta), Mítt Rúmm (La mia stanza) e Aldur, Eitt portrett af Mariu á Heygum (Onde- Un ritratto di Mariu á Heygum) mostra uno spaccato di vita contemporanea sulle isole.
Questi artisti, assieme alle politiche linguistiche, volte a eradicare inutili stranierismi, favoriscono la preservazione e la conoscenza di una lingua ‘che rischierebbe altrimenti l’estinzione. Una lingua ”piccola” ma con una forza e una resilienza straordinaria.
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